Castelletta, anno 2018, ancora vendemmie, come in passato, in questo Paese: il vino qui si fa da generazioni. La coltivazione delle viti, la potatura, la raccolta e la lavorazione del vino, che, alla fine, accompagna il cibo in tavola.
Proprio ora, nel pieno periodo delle vendemmie, i profumi e gli odori creano in questo posto un clima molto più romantico. Purtroppo però, questa usanza di fare il vino sembra destinata a sparire: sono rimasti solamente in 4 a continuare a fare il vino, ma quanto tempo potranno ancora resistere? Chi prenderà il loro posto e continuerà questa bellissima usanza, una delle poche rimaste vive fino ad oggi? Chi rimarrà per insegnare, alle future generazioni, come si faceva il vino a Castelletta?
Eccoli 3 dei 4 abitanti che resistono e che, ancora oggi, fanno il loro proprio vino. O, come li chiamo io, i nostri ultimi grappoli d’uva…
Renato S., nato a Castelletta, con più di una generazione alle spalle e due davanti, ha imparato a fare il vino da suo padre: lui lo aiutava a fare la vigna, a potare, a vendemmiare… Poi Renato è partito per Ravenna e in Abruzzo, per lavoro, allontanandosi così dalla campagna. Nel 1983 è tornato a vivere a Castelletta e ha ripreso le vigne di suo padre, che piantò quasi più di 100 anni fa. Renato ha uva mista, ma divide il mosto in bianco e rosso. Dalla raccolta alla tavola passano mediamente tra gli 8 e i 9 messi, dopo di che, la magia della lavorazione e la pazienza della fermentazione, porteranno nel palato, al primo sorso assaggiato del nuovo vino, un’esperienza sempre nuova e unica.
Giuseppe P., di famiglia originaria di Castelletta. Lui ha imparato a fare il vino da suo nonno e suo padre e dal 1958 fa il vino, per conto proprio. Nel 1996 è andato in pensione e così ha deciso di rinnovare la vigna, levando le vecchie viti e piantandone di nuove: verdicchio, sangiovese, malvasia, trebbiano, e, in quantità minore, cirignolo e lacrima.
Anche Giuseppe, come Renato, fà la divisione dell’uva, producendo cosi vino bianco (dalle uve verdicchio, malvasia e trebbiano) e rosso (circa 90% di sangiovese e cirignolo, con un pò di lacrima). Giuseppe non fa solamente il vino, ma con il mosto ottenuto dalla pigiatura ottiene anche dei buonissimi biscotti. Così come produce anche aceto e vino di visciola…
Il nostro ultimo viticoltore è Antonio C., nato e cresciuto a Castelletta. Anche la sua famiglia, da generazioni e generazioni, produce il proprio vino: fin da quando ha memoria, Antonio ricorda il lavoro nei campi con suo padre, dal quale ha imparato a fare il vino. Lui ci ha raccontato però il cambiamento che ha vissuto, da quando faceva il vino con suo padre ad oggi: primo di tutto il tipo d’uva, molto più acquosa allora e meno zuccherina, ma anche la lavorazione del mosto, che prima veniva cotto per far sì che l’acqua evaporasse, in modo da aumentare la quantità degli zuccheri e alzare quindi il volume finale di alcool, prima di mettere il vino a bollire nelle botti. Oggi invece l’uva viene vendemmiata, lasciata macerare per 5 giorni con le bucce, cosi il vino prende più colore, poi scolata, pressata e fatta bollire nelle botti, in forma naturale. Ma i cambiamenti, ci racconta, non sono solo legati alla produzione del vino: anche il trasporto dell’uva dalla campagna alla cantina è stato rivoluzionato. In passato l’uva veniva trasportata con due “bigoncie” di legno, che venivano riempite e caricate sulla schiena di un somaro… Oggi invece, grazie al progresso e alla meccanica, le “bigoncie” piene d’uva vengono caricate tutte insieme sulle motorette. Così l’uva arriva appena vendemmiata alla cantina e, dopo poche ore, viene subito processata con una diraspatrice meccanica. Un procedimento molto più pratico e veloce, rispetto a quando l’uva veniva pestata con i piedi!
E pensare che tutti questi cambiamenti sono avvenuti in appena 26 anni, quando anche Antonio ha deciso di rinnovare la sua vigna e piantare vitigni di trebbiano, cirignolo, sangiovese, malvasia e merlot. Antonio, però, non divide le uve come Renato e Giuseppe, facendo un solo tipo di vino: il rosè.
Io invito, a tutti quelli che ne hanno la possibilità, di venire a vedere questo meraviglioso Paese e visitare le cantine di Renato, Giuseppe e Antonio… Così da riflettere su come poter fare per imparare da loro e poter continuare a far vivere questa meravigliosa tradizione!
Approfitto del mio spazio per ricordare tutte le altre persone che hanno macchiato la storia di Castelletta con il loro vino. Fra di loro Ruggero Petrellini, il nonno di Daniele, il mio compagno. Al nostro primo incontro, durante il pranzo, la nostra prima conversazione fu:
– “Ti piace il vino?”
Io risposi: “Si!”…
– “Allora siediti affianco a me…”
A cura di Maider Miguel Malaxechevarria